10 settembre 2012

NUOVE GENERAZIONI ISPIRATE


“Inspire a generation”, ispirare le nuove generazioni, era il motto dell’estate olimpica di Londra che si conclude stasera con la cerimonia di chiusura allo Stadio Olimpico e passaggio della fiamma paralimpica tra il Sindaco di Londra e quello di Rio de Janeiro sede dei giochi 2016. Per chi ha vissuto questa avventura veder chiudere un villaggio che per due settimane ha visto oltre 4000 persone di ogni età, provenienti da 166 Paesi diversi, con disabilità, culture, colore della pelle, religioni diverse, hanno materializzato il motto “Inspire a generation”, è un pugno nello stomaco. Se per chi vive o guarda le Paralimpiadi l’edizione di Pechino ha segnato un chiaro cambiamento di rotta in merito a organizzazione, media e atleti, Londra 2012 è stato un vero e concreto cambio di passo, un segnale chiaro e forte alle nuove generazioni che hanno già dato segnali importanti di averlo recepito. Le vecchie generazioni si perdono ancora nel come chiamare una persona con disabilità. Ci ha messo del suo anche il nostro povero Paolo Villaggio con una uscita tipica dell’italiota medio, della serie “non conosco e quindi non capisco”. Le nuove generazioni qui a Londra hanno invece dimostrato di aver adottato il più intelligente “ non conosco le Paralimpiadi e quindi vado a viverle per capirle”. Ma utilizzando un termine caro ai politici italioti, a sua insaputa l’entrata in scena del rag. Fantozzi ha portato bene al nuotatore della Polha Varese e della Luino Verbano Nuoto Federico Morlacchi. Così come il cognome Fantozzi veniva regolarmente storpiato in Fantocci, anche il giovane luinese ad ogni sua apparizione al sontuoso Aquatic Center veniva annunciato come “Morlacci”.

Tentare di correggere lo speaker è stato inutile. Agli “ok ok sorry” faceva seguito sempre lo stesso annuncio: “Ladies and gentleman, Feuerico Morlacci!” E per tre volte su quattro è arrivata la medaglia. E allora che sia per sempre, Morlacci forever!
Già le medaglie. Prima di una Paralimpiade le chiedono con più insistenza i distratti. Quelli che non comprendono come anche solo partecipare ad una Paralimpiade sia un impresa. Soprattutto in Paese come l’Italia ancora oggi alle prese con un ricambio di cultura ad andamento lento. Fino a non molti anni fa un buon sportivo vittima di una malattia o un incidente se dotato di buona volontà poteva ambire a partecipare alle Paralimpiadi. Da Pechino e ancora di più ora da Londra non è più possibile, nel senso che non basta piu’. In gara si sono visti atleti veri, professionisti o dilettanti professionali veri. Per maggiori informazioni in merito chiedere a Oscar Pistorius che ha partecipato ad Olimpiadi e Paralimpiadi arrivando dietro in entrambi gli eventi salvando la sua partecipazione nell’ultima gara paralimpica utile realizzando il sontuoso record del mondo nei 400mt.. Ma la vittoria più bella dell’atleta sudafricano è stata quella di chiedere prontamente scusa al mondo dopo che a caldo aveva sollevato dubbi sulle protesi del brasiliano Alan Oliveira che l’ha battuto nei 200 metri. 

Il Presidente del Comitato Paralimpico Internazionale Philip Craven aveva chiesto ai media accreditati, mai così numerosi prima d’ora alle Paralimpiadi, di non utilizzare il termine “disabile”. E allora, forse ispirati dalla colonna sonora utilizzata per accompagnare la sfilata nella cerimonia inaugurale e le vittorie della nazionale britannica (la mitica Heroes di David Bowie), i media si sono buttati sul termine “eroi”. Mah! Perché non più semplicemente atleti?
Nella cultura di casa nostra sarebbe bene considerare eroi quei disabili che ancora oggi ricevendo scarsa considerazione da un mondo dove non hanno scelto di nascere con disabilità che non hanno scelto di avere, riescono a vivere una vita degna chiedendo il rispetto dei propri diritti in quanto persone e non in quanto disabili. Chiedono di avere dei mezzi pubblici consoni ed adeguati e non il parcheggio gratis in centro città o davanti al centro commerciale. Accessi, ausili e pratiche burocratiche mirate a limare le difficoltà della loro quotidianità  e non il biglietto gratuito allo stadio o ai concerti.
Stanchi di venir rappresentati, determinati a rappresentarsi in prima persona. In una canzone scritta e incisa dal campione di sci paralimpico Luca Maraffio, il “Kino” ripete più volte il ritornello “forse pensano che per il fatto di essere seduti in carrozzina abbiamo perso anche la ragione. Fanno leggi, parcheggi, ascensori, scivoli nei locali e ci dicono perfino su che cesso dobbiamo sederci”. L’avventura della nazionale paralimpica italiana a Londra è stata un trionfo. 
28 medaglie, 10 più di Pechino 2008 (http://www.london2012.com/paralympics/medals/medal-count/).
Tra le tante ispirazioni c’è quella generata da Alex Zanardi. Per il suo essere uomo prima che campione. Al termine di ogni gara ringraziamenti al mondo. Dalla famiglia ai compagni di squadra nominati ad uno ad uno con nome e cognome. Una risposta, una foto, un sorriso per tutti e con tutti. E prima delle Paralimpiadi non un assenza ai raduni e una continua, ossessiva ricerca di migliorie per se stesso e il suo mezzo, l’handbike, che al termine di ogni gara abbraccia, bacia e ringrazia come fosse un essere umano. In una parola: esemplare.
Alle nuove generazioni non resta che cogliere queste ispirazioni e nessun altre generate dalla Paralimpiadi di Londra con lo sguardo sull’orizzonte e non fisso ognuno sui propri confini.