“Inspire a generation”, ispirare le nuove generazioni,
era il motto dell’estate olimpica di Londra che si conclude stasera con la
cerimonia di chiusura allo Stadio Olimpico e passaggio della fiamma paralimpica
tra il Sindaco di Londra e quello di Rio de Janeiro sede dei giochi 2016. Per
chi ha vissuto questa avventura veder chiudere un villaggio che per due
settimane ha visto oltre 4000 persone di ogni età, provenienti da 166 Paesi
diversi, con disabilità, culture, colore della pelle, religioni diverse, hanno
materializzato il motto “Inspire a generation”, è un pugno nello stomaco. Se
per chi vive o guarda le Paralimpiadi l’edizione di Pechino ha segnato un
chiaro cambiamento di rotta in merito a organizzazione, media e atleti, Londra
2012 è stato un vero e concreto cambio di passo, un segnale chiaro e forte alle
nuove generazioni che hanno già dato segnali importanti di averlo recepito. Le
vecchie generazioni si perdono ancora nel come chiamare una persona con
disabilità. Ci ha messo del suo anche il nostro povero Paolo Villaggio con una
uscita tipica dell’italiota medio, della serie “non conosco e quindi non
capisco”. Le nuove generazioni qui a Londra hanno invece dimostrato di aver
adottato il più intelligente “ non conosco le Paralimpiadi e quindi vado a viverle
per capirle”. Ma utilizzando un termine caro ai politici italioti, a sua insaputa l’entrata in scena del rag. Fantozzi ha portato bene al nuotatore della Polha Varese e della Luino Verbano Nuoto Federico Morlacchi. Così come il cognome Fantozzi veniva regolarmente storpiato in Fantocci, anche il giovane luinese ad ogni sua apparizione al sontuoso Aquatic Center veniva annunciato come “Morlacci”.
28 medaglie, 10 più di Pechino 2008 (http://www.london2012.com/paralympics/medals/medal-count/).
Tentare
di correggere lo speaker è stato inutile. Agli “ok ok sorry” faceva seguito sempre
lo stesso annuncio: “Ladies and gentleman, Feuerico Morlacci!” E per tre volte
su quattro è arrivata la medaglia. E allora che sia per sempre, Morlacci
forever!
Già le medaglie. Prima di una Paralimpiade le chiedono
con più insistenza i distratti. Quelli che non comprendono come anche solo
partecipare ad una Paralimpiade sia un impresa. Soprattutto in Paese come
l’Italia ancora oggi alle prese con un ricambio di cultura ad andamento lento.
Fino a non molti anni fa un buon sportivo vittima di una malattia o un
incidente se dotato di buona volontà poteva ambire a partecipare alle
Paralimpiadi. Da Pechino e ancora di più ora da Londra non è più possibile, nel
senso che non basta piu’. In gara si sono visti atleti veri, professionisti o dilettanti
professionali veri. Per maggiori informazioni in merito chiedere a Oscar
Pistorius che ha partecipato ad Olimpiadi e Paralimpiadi arrivando dietro in
entrambi gli eventi salvando la sua partecipazione nell’ultima gara paralimpica
utile realizzando il sontuoso record del mondo nei 400mt.. Ma la vittoria più
bella dell’atleta sudafricano è stata quella di chiedere prontamente scusa al
mondo dopo che a caldo aveva sollevato dubbi sulle protesi del brasiliano Alan Oliveira
che l’ha battuto nei 200 metri.
Il Presidente del Comitato Paralimpico
Internazionale Philip Craven aveva chiesto ai media accreditati, mai così
numerosi prima d’ora alle Paralimpiadi, di non utilizzare il termine
“disabile”. E allora, forse ispirati dalla colonna sonora utilizzata per
accompagnare la sfilata nella cerimonia inaugurale e le vittorie della
nazionale britannica (la mitica Heroes di David Bowie), i media si sono buttati
sul termine “eroi”. Mah! Perché non più semplicemente atleti?
Nella cultura di casa nostra sarebbe bene considerare eroi
quei disabili che ancora oggi ricevendo scarsa considerazione da un mondo dove
non hanno scelto di nascere con disabilità che non hanno scelto di avere,
riescono a vivere una vita degna chiedendo il rispetto dei propri diritti in
quanto persone e non in quanto disabili. Chiedono di avere dei mezzi pubblici
consoni ed adeguati e non il parcheggio gratis in centro città o davanti al
centro commerciale. Accessi, ausili e pratiche burocratiche mirate a limare le
difficoltà della loro quotidianità e non
il biglietto gratuito allo stadio o ai concerti.
Stanchi di venir rappresentati, determinati a
rappresentarsi in prima persona. In una canzone scritta e incisa dal campione
di sci paralimpico Luca Maraffio, il “Kino” ripete più volte il ritornello “forse
pensano che per il fatto di essere seduti in carrozzina abbiamo perso anche la
ragione. Fanno leggi, parcheggi, ascensori, scivoli nei locali e ci dicono perfino
su che cesso dobbiamo sederci”. L’avventura della nazionale paralimpica
italiana a Londra è stata un trionfo. 28 medaglie, 10 più di Pechino 2008 (http://www.london2012.com/paralympics/medals/medal-count/).
Tra le tante ispirazioni c’è quella generata da Alex Zanardi. Per il suo essere uomo prima che campione. Al termine di ogni gara ringraziamenti al mondo. Dalla famiglia ai compagni di squadra nominati ad uno ad uno con nome e cognome. Una risposta, una foto, un sorriso per tutti e con tutti. E prima delle Paralimpiadi non un assenza ai raduni e una continua, ossessiva ricerca di migliorie per se stesso e il suo mezzo, l’handbike, che al termine di ogni gara abbraccia, bacia e ringrazia come fosse un essere umano. In una parola: esemplare.
Alle nuove generazioni non resta che cogliere queste ispirazioni e nessun altre generate dalla Paralimpiadi di Londra con lo sguardo sull’orizzonte e non fisso ognuno sui propri confini.