Quella
dell’Handicap Sport Varese è una storia normale. Ragazzi ai quali non
piace vincere facile. Nello sport come nella vita ogni vittoria
l’hanno conquistata. Quando hanno voluto giocare a basket come potevano,
da seduti, hanno conquistato il cuore di un protagonista della
grande Ignis, Nino Cescutti. Non erano quattro amici al bar. Erano
qualcuno di più e passavano le giornate in un Istituto di Casciago.
Con determinazione, passione e un pizzico di cattiveria verso la vita
hanno generato dal nulla una fotografia in bianco e nero per
dimostrare al mondo che esistevano ed erano diventati una squadra. Ma il
mondo in cui vivevano non girava al loro ritmo. Cescutti, di fatto il
loro primo maestro, tornò a Udine, gli spazi in palestra diventarono sempre più
piccoli e i costi dell’agonismo sempre più grandi. Ma anche in quegli anni
non hanno mai smesso di giocare per divertirsi e nelle scuole, per
raccontarsi e raccontare il sogno di ricominciare con nuovi compagni di
viaggio. Non se ne accorgevano ma, piano piano quella sbiadita foto in
bianco e nero stava ritornando a fuoco. In una sera speciale il
giocatore che ha vestito più volte la maglia della Pallacanestro
Varese diventandone nel frattempo il Presidente lanciò loro un assist che per
nessuna ragione al mondo Carlo, Antonio, Alessio e Giorgio vollero vedere
sul tabellino nella casella “palle perse”.
L’iniziale
commozione si trasformò in entusiasmo. I quattro amici di sempre
diventarono sempre di più entrando nella leggendaria Pallacanestro Varese,
prima società professionistica in Italia a comprendere una squadra di
basket in carrozzina. La ripresa nel campionato di serie B con
le lunghe trasferte affrontate in macchina. E le carrozzine? Ognuno
si paga le proprie e chissenefrega! Come finì quel campionato definito
della rinascita nessuno se lo ricorda più. Così come nessuno dei
presenti sabato scorso a Cremona sapeva il risultato della partita che ha
spinto l’Handicap Sport Varese in serie A.
In
campo, in panchina e in tribuna nessuno era in grado di leggere il
tabellone. Gli occhi tracimavano lacrime, il cuore gioia. Era
già capitato il sabato precedente nello spareggio al palazzetto che
aveva spalancato la porta dei play off. Alessio e Giorgio non sono
più in campo ma non sono mai mancati. Carlo e Antonio sono in panchina con
il patentino di allenatori, con loro c’è Francesco che quest’anno ha
ritrovato se stesso e l’amore per il basket, decretato “miglior giocatore
dei play off”. E poi lo statuario Badara, il più abbronzato di tutti al
pari del suo amico Biaye. Quel gran rompiscatole del capitano, Daniele,
Remo lo “svizzero”, il furetto Momo, Alan “faccione”, lo straripante
Marco, Giampaolo, Mauro, il minuscolo Alessandro, Mattia detto “il sedicenne
più grande del mondo”, Vincenzo, Fabio, Riccardo, Mirko...ma quanti sono?
Ormai abbastanza per formare due squadre. Ecco, è questa la vittoria
più bella. L’immagine di quella corposa e ringiovanita
panchina biancorossa. Tutto è ripartito dallo spirito di quella foto in
bianco e nero lasciata per troppo tempo in un cassetto. Uno spirito che
non deve cambiare. Nemmeno il nome deve cambiare: Handicap Sport
Varese. Alla larga chi ha già fatto e sta facendo
disastri sprecando neuroni ed energie nel trovare definizioni per
rappezzare una cultura che non c’è. Nessuno dei protagonisti
di questa storia normale merita di veder ribattezzare la
loro passione “Diversamente Sport Varese”. Perché questa è
una meravigliosa storia normale, esente da elemosina e pietismo alla
quale manca ancora qualcosa. Una nuova foto a colori, con i ragazzi
di ieri e di oggi insieme a quel primo maestro in bianco e nero: Nino
Cescutti.
Sarebbe
la naturale chiusura del cerchio di una una storia normale scritta e
vissuta non da eroi ma da persone normali che lavorano, studiano e
sgomitano in una diversamente società.