10 luglio 2014

LA PREGHIERA DEL GUERRIERO

Al di là di chi alzerà la coppa made in Paderno Dugnano con più o meno merito, il bello del mondiale brasiliano è lo spirito dei giocatori del Ghana e i tifosi di ogni squadra che senza gabbie e settori blindati entrano ed escono dagli stadi, incredibilmente  insieme. Ognuno con la sua maglie, la sua cultura, i suoi sfottò, gioie e delusioni. Il primo mondiale che mi ricordo l’ho vissuto in quel di Jesolo seduto nella sala tv della Pensione Paradiso al fianco di un turista tedesco in pericolo di dissanguamento dopo aver pestato un pugno sul tavolo al gol del 4 a 3 di Rivera. Pochi secondi prima, sul quel tavolo l’amorevole consorte del tifoso teutonico aveva appoggiato una tazza contenente un fumante “Kappucino”. 
Quel mondiale finì con il trionfo di un Brasile leggendario composto da artisti prima che calciatori. A distanza di 44 anni il calcio e di conseguenza il Brasile sono un’altra cosa. 
Ognuno di noi, ha però la possibilità di scegliersi uno scenario ideale. Non di certo andando allo stadio o in piedi in una piazza. 
Più facile in una casa.
Chi ha il privilegio di vedere una  partita di calcio in tv a casa del Caccia può godere di uno scenario, di perle e di spunti degni  di un film del miglior Salvatores, un romanzo di Jorge Amado o un racconto di Darwin Pastorin da leggere in apnea. Quando di fronte ad uno schermo è incastrato sul divano un campionario come quello offerto da personaggi del calibro di Zanzara, Andrè, Franchigia, 3 generazioni di Caccia, un paio di bof, Farcic e Dringher, con l’unica nota delicata rappresentata dalla morigerata ed emerita prof.ssa Chiara Luoni, attualmente condannata da una scuola con la esse sempre più minuscola al ruolo di “soprannumeraria”,  è possibile che anche la famigerata disfatta verde oro al cospetto dei fratellini della Merkel sia indolore come una puntura fatta con la gloriosa siringa “Pic”: già fatto? In poco meno di mezz’ora lo sfregio al popolo eletto (dal Caccia) è compiuto e quindi, dopo uno sguardo collettivo degli ospiti verso il padrone di casa tutt’altro che ferito nel possente fisico, le danze hanno inizio. Tra i mille sproloqui provenienti dal tubo catodico si capisce che l’ultima volta di un Brasile tanto suonato in casa sua fu nella Coppa America del 1920 quando finì sommerso 6 a 0 dell’Uruguay. Uno spunto sufficiente per scuotere un Caccia assopito e incredulo: “onore alla Germania per quello che sta dimostrando sul campo - declama l’ex Manè Garrincha di Belfortese, Vergiate e Varese Nuova - e quindi si vada oltre arrivando a 7 per cancellare l’onta antica subita dall’odiata Celeste”.
Un 6 a 0 dimenticato nella notte dei tempi che nessuno ricordava. Nessuno tranne Caccia Senior Rinaldo che giura di esser stato quel giorno sugli spalti. Affermazione quest’ultima alla quale nessuno dei presenti per rispetto (tranne Andrè che non l’ha sentita…) ha osato obiettare che essendo nato nel ’24 a Revigny nei dintorni di Nancy, il piccolo Rinaldò difficilmente avrebbe potuto raggiungere la Terra Promessa (del figlio che avrebbe seminato 35 anni più tardi) a bordo della sua minuscola Renault a pedali. Ma torniamo alla preghiera del Caccia. Un urlo spontaneo partito dalla Catedral do Samba di Viale Aguggiari, dove cancello, porte e finestre sono aperte 360 giorni all’anno, per arrivare nel vestiàrio do Estádio Governador Magalhães Pinto di Belo Horizonte dove Felipe Scolari è già in piedi sul lettino dei massaggi con una corda al collo con Hulk pronto a togliergli l’ultimo appoggio da sotto i piedi. Quando tutto sembrava inutile, soprattutto rientrare in campo con cinque macigni sulla schiena da portare per altri 45’ ecco che  la preghiera dell’apostolo verde oro varesino scuote sguardi e cuori. Così, come gli undici eroi di “Fuga per la Vittoria” anche la selecao comatosa di Felipao riprende forma e vita per portare a termine l’inaspettata missione. Tanto determinata che quota 7 viene toccata ben prima del novantesimo trasformando il finale di gara da Calvario a trionfo per un Caccia felice prima di scatenare le sue mani sulle amate congas al gol della bandiera di Oscar e poi per aver cancellato una delle poche ombre di una nazionale vestita con i colori del cielo, del sole e dell’erba del prato. Erba che l’intera rosa del Brasile 2014, staff tecnico compreso, si sono fumata senza risparmio alla vigilia del mondiale ai piedi del Corcovado. Ma il cappotto confezionato dai tedeschi vestendo non la tradizionale divisa bianca ma la maglia universalmente conosciuta come veste sacra del Flamenco ha la sua genesi a Varese, nella casa famiglia al culmine di Viale Aguggiari. Troppo facile sarebbe stato per il Caccia professare la sua fede nel momento di mettersi al petto la sesta stella. Più eroico e significativo rialzarsi anzi, non cadere sotto la settima sinfonia dei pronipoti di Beethoven ma,  al contrario, è per lui più nobile gonfiare il petto prestandosi alla ridda di italioti pronti a danzare su un feretro che non c’è in quanto privo di salma perché:
Un guerriero accetta la sconfitta. Non la tratta con indifferenza, non tenta di trasformarla in vittoria. Egli è amareggiato dal dolore della perdita, soffre all’indifferenza. Dopo aver passato tutto ciò, si lecca le ferite e ricomincia tutto di nuovo. Un guerriero sa che la guerra è fatta di molte battaglie: egli va avanti”. (Paulo Coelho)